Crediti d’imposta non spettanti e inesistenti. Qualche passo in avanti c’è, ma si poteva fare di più!

La distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti è sempre stata foriera di incertezze interpretative, tanto che, a fine 2023, si è reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Il Giudice di legittimità, vincolato da una disciplina legislativa equivoca e mal congegnata, non è però riuscito a individuare soluzioni del tutto soddisfacenti. Apprezzabile, in tale contesto, la sollecitazione, contenuta nella legge delega di riforma fiscale, finalizzata a definire in modo più rigoroso la linea di confine tra le due categorie. Ci sarà riuscito il legislatore delegato Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo concernente le sanzioni tributarie e penali, è possibile chiedersi se il delegato sia riuscito a giungere, in attuazione dell’art. 20, comma 1, lett. a), n. 5), della legge n. 111 del 2023, a «una più rigorosa distinzione normativa anche sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti».

 

Si trattava di sollecitazione, quella del delegante, quanto mai opportuna, in ragione delle difficoltà teoriche e applicative generate dalla disciplina entrata in vigore nel 2015, secondo la quale:

- i crediti inesistenti erano definiti come quelli «in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54-bis del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633» (art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 471 del 1997);

- i crediti non spettanti erano quelli, esistenti, utilizzati in compensazione in misura eccedente o in violazione rispetto a quanto previsto dalla legge ( art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 471 del 1997).

 

Il confine tra le due fattispecie era tutt’altro che netto:

- per l’estrema vaghezza del requisito (di inesistenza) della carenza del «presupposto costitutivo»;

- per il fatto che non dovevano essere considerati come inesistenti quei crediti che, pur essendo tali dal punto di vista fenomenico, potevano essere recuperati in sede di liquidazione della dichiarazione o con i controlli formali (per esempio, credito inesistente compensato con F24 e non riportato in dichiarazione);

- per la conseguente difficoltà di ricondurre questi ultimi, «non inesistenti» dal punto di vista giuridico, ai crediti non spettanti, che sono qualificati espressamente come «esistenti»;

- per la non corrispondenza tra inesistenza e fraudolenza del credito di imposta, potendo mancare il «presupposto costitutivo» del credito anche in assenza di simulazioni, artifici, false rappresentazioni della realtà.

Su tale complicato assetto normativo è intervenuto il legislatore della riforma fiscale, stabilendo, in ambito penale, ma le definizioni valgono anche dal lato tributario in forza del rinvio operato dal novellato art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 471 del 1997, che:

- «per “crediti inesistenti” si intendono: 1) i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella normativa di riferimento; 2) i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi di cui al numero 1) sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici» [nuovo art. 1, comma 1, lett. g-quater), del d.lgs. n. 74 del 2000];

- «per “crediti non spettanti” si intendono: 1) i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento; 2) i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito; 3) i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza» [nuovo art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), del d.lgs. n. 74 del 2000].

Viene meno, quindi, ogni dubbio in merito alla possibilità, per il vero già esclusa dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 34452 del 2023 (ma successivamente riemersa nella sentenza della stessa Corte, Sez. III Penale, n. 6 del 2024), che le definizioni in ambito tributario differiscano rispetto a quelle di diritto penale, in presenza di una norma, l’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, che punisce in modo differenziato l’utilizzo in compensazione sopra la soglia di legge (euro 50.000) dei crediti non spettanti (reclusione da sei mesi a due anni) rispetto ai crediti inesistenti (reclusione da 18 mesi a sei anni).

 

Ma torniamo, ciò detto, all’operata distinzione, partendo dai crediti inesistenti. Come si è visto, essi si suddividono in due tipologie, quella che si caratterizza per la mancanza dei «requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella normativa di riferimento» (che chiameremo inesistenti tout court) e quella che si connota per il fatto che gli anzidetti requisiti «sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici» (che chiameremo fraudolenti).

Con riferimento alla prima, va segnalato che la differenza rispetto alla definizione previgente non attiene tanto al «passaggio» dalla carenza del «presupposto costitutivo» alla mancanza degli «elementi soggettivi o oggettivi», risultando perfino evidente che le due locuzioni sono equivalenti dal punto di vista del significato a esse attribuibile. Il passo in avanti va quindi ricondotto alla necessità che i requisiti mancanti risultino in modo specifico dalla normativa di riferimento, sicché non dovrebbe essere più possibile contestare l’inesistenza utilizzando interpretazioni che non trovino preciso riscontro nella legge istitutiva dell’agevolazione. In ogni caso, e al di là dell’anzidetta notazione, risulta confermato anche nel nuovo assetto che possono esserci crediti inesistenti pur in presenza di un’attività effettivamente svolta, del che si trova conferma nella configurazione della categoria dei crediti fraudolenti, species del genus crediti inesistenti, che si contraddistingue, essa sì, per il contesto simulatorio (e, quindi, di fattuale e non di giuridica inesistenza) in cui vengono fatti emergere. Su quest’ultimo punto, peraltro, merita evidenziare che la risposta sanzionatoria risulta graduata in ambito tributario, atteso che la nuova sanzione amministrativa del 70% prevista per gli inesistenti tout court (art. 13, comma 5) va aumentata per i fraudolenti dalla metà al doppio (art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997), ma non anche in ambito penale, laddove le due tipologie di inesistenza vengono punite dall’art. 10-quater, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000 in modo irragionevolmente identico.

 

Veniamo, ciò detto, ai crediti non spettanti, suddivisi dal legislatore della riforma in tre tipologie. Prendendo a riferimento il già menzionato elenco contenuto nell’art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), del d.lgs. n. 74 del 2000, si può dire che non generano particolari problemi interpretativi quelli di cui ai punti 1) («crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento») e 3) («crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza»). Dalle nuove norme si desume anche che il mancato rispetto degli adempimenti non previsti a pena di decadenza determina anch’esso la non spettanza del credito (art. 13, comma 4-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997), fatta salva la possibilità della rimozione della violazione nei modi e nei tempi individuati nell’art. 13, comma 4-ter, del medesimo decreto. Resta, ma la questione è di dettaglio, che non è chiaro se si possa, per gli adempimenti previsti a pena di decadenza, far ricorso all’istituto della remissione in bonis di cui all’art. 2, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012.

 

Rilevanti criticità emergono, invece, dalla tipologia di credito non spettante di cui al punto 2) dell’elenco («crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito»), risultando tutt’altro che agevole individuare quali sarebbero gli «ulteriori elementi» e le «particolari qualità» che, pur non impattando sull’esistenza del credito, possono condurre ugualmente al disconoscimento della legittimità del suo utilizzo.

 

In cosa si differenziano i due requisiti testé detti dagli altri già contemplati nella disposizione recante la definizione dei crediti non spettanti, e cioè dagli adempimenti prescritti a pena di decadenza per il riconoscimento dell’agevolazione, dalle modalità di utilizzo del credito e dalle limitazioni all’utilizzo in forza dell’individuazione di valori soglia?

 

Non è che la norma verrà utilizzata dall’Amministrazione finanziaria come «leva» per recuperare crediti di imposta sull’assunto che la compensazione non debba essere consentita non solo quando manchino i requisiti oggettivi o soggettivi previsti nella legge (e qui siamo nell’inesistenza), ma anche se le circostanze del caso inducano a ritenere che l’utilizzo del credito vada impedito in ragione di ricostruzioni che si fondino sul mancato rispetto, sempre opinabile, della ratio dell’agevolazione o su non-fonti come i famigerati Manuali di Frascati e di Oslo?

 

Se a ciò si aggiunge che

-il nuovo art. 10-quater, comma 2-bis, del d.lgs. n. 74 del 2000 limita la nuova causa di non punibilità connessa alla «obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito» ai soli crediti non spettanti, in un contesto in cui l’incertezza può certamente sussistere anche con riferimento ai crediti inesistenti, soprattutto se non fraudolenti

- è stato inopinatamente escluso, in forza di una norma pacificamente innovativa ma incredibilmente qualificata come interpretativa (art. 7-bis del 
d.l. n. 39 del 2024), il diritto al contraddittorio preventivo obbligatorio per i crediti inesistenti (su cui dello stesso autore, l’Editoriale “Quer pasticciaccio brutto del contraddittorio preventivo”, pubblicato su IPSOA Quotidiano del 24 maggio 2024)

- si è esclusa l’applicazione del favor rei per le nuove norme tributarie, ma non, ovviamente, per le norme penali, con la conseguenza che, per le violazioni commesse fino al 30 settembre 2024, si applicheranno irragionevolmente alle contestazioni in materia di crediti inesistenti/non spettanti due differenti discipline, l’una per il diritto penale, l’altra per il diritto tributario non si potrà che giungere alla conclusione che il tentativo di addivenire a una più rigorosa definizione delle due categorie (e a una disciplina più lineare) non sembra essere pienamente riuscito.

 

Un’occasione perduta, anche perché, a mio parere, una soluzione veramente chiarificatrice era a portata di mano: bastava limitare il perimetro dei crediti inesistenti a quelli fraudolenti. In tal modo, sarebbero rientrate nella categoria di quelli non spettanti, oltre alle fattispecie indicate nei punti 1 e 3 del ricordato elenco, anche quelle in cui l’Amministrazione mette in discussione, in via interpretativa, la legittimità dell’utilizzo del credito che si connette a un’attività effettivamente realizzata.

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